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Lunedì, 2 Febbraio 2015 NEWS
  
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Esportare negli Usa, il piano inizia dalla cultura del cibo

Stati Uniti, non solo hamburger e patate fritte. Tra i 320 milioni di consumatori che popolano la maggiore economia del mondo, una categoria in rapido aumento è proprio quella dei «foodies», persone che amano riscoprire sapori autentici, pietanze sane e piatti etnici. Le catene di fast food non possono accontentarli. Le esigenze dei foodies si sposano invece col cibo italiano, già oggi un «must» per qualsiasi americano con la passione della buona tavola. Ma oltreoceano, per il «made in Italy» alimentare il margine di penetrazione è ancora elevato. Anche per le pmi: basta studiare. Studiare una formula commerciale e promozionale efficace: perché in caso di scelte sbagliate, lo «yankee» non perdona. Obiettivo formazione: il tour nazionale col quale Ice Agenzia, su incarico del Ministero dello Sviluppo Economico e in stretta collaborazione con Confindustria, in vista del futuro accordo di libero scambio tra Europa e Stati Uniti sta promuovendo l' ambizioso «piano Usa», ha ieri fatto tappa all' Unione Parmense degli Industriali. Focus, per l' occasione, sul settore agroalimentare: «L' accordo bilaterale tra Washington e Bruxelles - afferma Roberto Lovato, dirigente Ice del Settore Agroalimentare e Vini - mitigherà le difficoltà di carattere sanitario e veterinario che oggi le imprese italiane ancora incontrano nell' esportare in Usa». Ma un trattato non risolve automaticamente il problema di una piazza estremamente vasta, eterogenea e dalla scarsa educazione alimentare. «Mentre alcune tipologie come formaggi, pasta e olio d' oliva - afferma in videoconferenza dagli States il direttore di Ice New York Pier Paolo Celeste - possiedono quote di mercato significative, altri prodotti italiani scontano una bassa diffusione e vanno sostenuti attraverso la presenza costante sul territorio e iniziative come fiere e progetti di incoming». Introdotto dalla presidente dei Giovani Imprenditori di Federalimentare Annalisa Sassi, il seminario ha dato spazio ad altri esperti che - sempre in diretta dalla Grande Mela - hanno portato la propria testimonianza: «Non solo l' utente finale, anche il personale di vendita - spiegano Carlo Alberto Bertozzi e Giovanni Grimaldi di Management Resources of America - manca spesso della corretta cultura del cibo. Inoltre, l"italian sounding" è sensibilmente migliorato sia come qualità, sia come presentazione. Ma il made in Italy ha grosse chance: qualche anno fa, i sughi rossi per la pasta oltre i 6 dollari al barattolo non erano nemmeno considerati. Oggi, valgono un terzo della torta». Costa pacifica, costa atlantica, Midwest: ogni macroarea presenta caratteristiche peculiari: «Consiglio - dice Michael Corsello, Murray' s Cheese - un approccio multi- regionale». Da Marco De Ceglie (De Cecco) e Marco Revedin (Brooks Brothers Group) il suggerimento infine a individuare il miglior distributore e apreparare un business plan solido, ma prudente. «Tenendo alta la barra della qualità - riassume Celeste - il mercato Usa può restituire soddisfazioni enormi. Ma va esplorato».